Eppur si espone: i bronzi dal Panificio di via dei Molini

23/07—10/09/2019

20 bronzetti raccontano due secoli di gusto artistico a Ostia antica

Eppur si Espone, l’iniziativa del Parco Archeologico di Ostia Antica giunta al suo secondo appuntamento, porta nella rinnovata Sala XI del Museo Ostiense 20 piccoli bronzi, scelti dall’archeologa Paola Germoni per la varietà di manufatti di pregio databili tra il I e il III secolo d.C., rinvenuti tutti nello stesso ambiente di uno dei maggiori  panifici di Ostia Antica. Si tratta, in particolare, del cd. Caseggiato dei Molini (o Molino del Silvano) di Ostia antica, un imponente edificio dove è stato riconosciuto anche un impianto per la produzione del pane, che ha avuto una continuità di vita di circa due secoli. La sua disastrosa rovina si deve ad un incendio, in seguito al quale crollarono i piani superiori dell'edificio, sigillando i pochi oggetti sfuggiti alle fiamme, tra cui i bronzetti adesso esposti. I reperti furono portati alla luce da Guido Calza intorno al 1913 e presentati alla comunità scientifica nel volume del 1915 di Notizie dagli Scavi di Antichità.

Macerie provvidenziali, dunque, quelle che hanno custodito per 1.600 anni una collezione eterogenea, composta da raffigurazioni di divinità e di animali in miniatura, ritratti, lampade e appliques decorative, destinate ad abbellire mobili e letti lignei, con molta probabilità provenienti da un appartamento residenziale posto ai piani alti, la cui esistenza è documentata da 2 scale ancora oggi visibili. Le fonti antiche, infatti, descrivono edifici romani che, in città, raggiungevano anche 7 piani, rendendo ostico l’eventuale intervento dei pompieri.

foto storica molino del silvanoIl Molino del Silvano al momento dello scavo, nel 1913

“Come consueto nella bronzistica di età romana, le iconografie scelte per ritrarre i personaggi si ispirano alle più famose opere di età greca”, spiega l’archeologa Marina Lo Blundo nel video che, all’interno della Sala XI, ritrae i bronzetti e ne illustra i dettagli storici e artistici.

“Come l'Ercole fanciullo con la pelle di leone che gli copre il capo e, nella mano sinistra, i pomi delle Esperidi, allusione a una delle sue leggendarie fatiche; o come il busto bronzeo che rappresenta Giove Tonante, con corona di foglie di quercia e mantello, ispirato alla celebre statua dello scultore ellenistico Leocare”. Un altro piccolo busto raffigura Giove Serapide, identificabile dal caratteristico copricapo svasato detto kalathos.

statuetta di larestatuetta di Lare  “Di fattura particolarmente raffinata è la statuetta di un Lare, divinità del focolare che proteggeva la vita domestica” prosegue Marina Lo Blundo. “È un giovane senza barba, ha i capelli ondulati, è vestito di un manto trattenuto alla cintura, che svolazza. La sua base originale quadrata è impreziosita con alcune foglie di alloro in argento”, inserite ad incastro nel bronzo con la tecnica dell’ageminatura.

L’esposizione annovera una serie di animali in miniatura: uno scorpione con grandi pinze sollevate, un serpentello avvolto nelle proprie spire, impreziosito dalla meticolosa incisione delle squame; e i cani, uno minuscolo che distende le zampe anteriori e l’altro, seduto su quelle posteriori, mentre allunga collo e muso verso l’alto, a simulare un latrato.

Straordinario il ritratto di un giovane africano: “è estremamente realistico – riflette Lo Blundo - nei dettagli del volto e dell'abbigliamento: ha gli occhi infossati, le labbra particolarmente carnose, ciocche di capelli che delineano l’aspetto crespo. Indossa un mantello, chiamato paenula, che termina con un cucullus ovvero un cappuccio, il che connota il nostro personaggio come uno schiavo”.

bronzetto di etiopebusto di etiope Merita una segnalazione speciale la testa di Gorgone, un’applique del II secolo realizzata in stile arcaizzante. Si tratta di una maschera con funzione apotropaica, ovvero di protezione contro gli influssi maligni: la caratterizza un'espressione mostruosa sul viso incorniciato da ciocche ricciute, gli occhi allungati e la bocca semiaperta, dalla quale spunta la lingua. Decorava probabilmente l'ansa di un vaso metallico.

La tecnica di fusione adottata dai romani è quella della cera persa. Che consiste nell’abbozzare un modello in cera sul quale viene stesa una terra refrattaria, come l’argilla o la creta. Il riscaldamento in forno consolida le terre e scioglie la cera: al suo posto si cola il bronzo. La lega, una volta raffreddata, ha bisogno di essere perfezionata e lucidata.

 "I 20 bronzetti esposti sono riconducibili a diverse funzioni: alcuni erano oggetti d'arredo (quali, ad esempio, le appliques), altri sono strettamente connessi alla sfera del sacro, come chiaramente suggeriscono le numerose statuette di divinità” riepiloga Lo Blundo “essi costituiscono una selezione dei numerosi esemplari provenienti dal medesimo contesto e, soprattutto, della collezione, che conta circa 1500 reperti, custodita nei Depositi ostiensi".

“Il secondo appuntamento con “Eppur si Espone” propone al pubblico opere di pregevole fattura che documentano l'alto livello della cultura artistica ostiense” riflette Cristina Genovese, archeologa e coordinatrice dell’iniziativa espositiva. “Nel caso specifico, il valore documentario dei reperti in questione è accresciuto dal singolare e straordinario contesto di rinvenimento: recuperati negli strati di distruzione, a causa di un incendio, del piano superiore di alcuni ambienti di un centralissimo impianto destinato ad attività produttive e commerciali- ma anche cultuali (come attesta la presenza del cd. Sacello del Silvano nel medesimo edificio), non si può escludere, tra le varie ipotesi, che essi costituissero una sorta di "piccola collezione", che, vista l'eterogeneità cronologica e tipologica dei soggetti, potrebbe darci interessanti informazioni sulle modalità di selezione e tesaurizzazione di tali oggetti preziosi da parte di uno o più proprietari dell'edificio. Ancora una volta i Depositi Ostiensi ci restituiscono inestimabili tesori di quella che fu una delle più importanti, ricche e potenti città del Mediterraneo in età romana”.

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Gli oggetti bronzei in mostra nel Museo Ostiense dal 23 luglio

I bronzetti esposti provengono dagli scavi del Molino del Silvano, un grande impianto per la produzione del pane nel centro di Ostia. Qui furono ritrovati numerosi oggetti in bronzo, soprattutto piccole statue e decorazioni di mobili (appliques): forse si trattava di arredi domestici crollati dal piano superiore, oppure, visto il numero e la varietà di oggetti, potrebbero essere pertinenti a un’officina per la lavorazione dei metalli. Le opere esposte, databili tra il I e il III secolo d.C., costituiscono un prezioso campione dei circa 1500 bronzi custoditi nei Depositi Ostiensi.

Nella prima vetrina sono esposti oggetti appartenenti ad arredi domestici di pregio, come le splendide lucerne, mentre il piccolo vaso tondeggiante, con anelli per fissare due catenelle, era probabilmente un unguentario da utilizzare alle terme. Le rappresentazioni di animali potevano avere un valore votivo, come nel caso di un piccolo scorpione o del serpente elegantemente avvolto nelle sue spire. Di funzione incerta è il disco con testa di cavallo, forse un’applique di mobile, mentre la maschera di Gorgone, opera d’ispirazione arcaizzante del II secolo d.C., era probabilmente applicata all’ansa di un vaso metallico. Ugualmente decorativi erano il busto di amorino alato, caratterizzato dal viso paffuto e dal ciuffo di capelli sulla fronte e il busto di ragazzo etiope, opera di grande realismo e raffinata sensibilità artistica, probabile raffigurazione di uno schiavo.

Nella seconda vetrina si trovano piccole statue e busti di divinità, rappresentative della profonda religiosità che permeava la vita quotidiana nell’antica Ostia. Un piccolo busto raffigura Giove Serapide, identificabile dal caratteristico copricapo svasato detto kalathos, mentre a un altro busto è affidata la rappresentazione di Giove Tonante, con corona di foglie di quercia e mantello, probabilmente ispirato alla celebre statua dello scultore ellenistico Leocare. Una statuetta di fattura meno curata rappresentava il dio Mercurio, riconoscibile per il caratteristico copricapo (petaso) e i calzari alati; l’usura suggerisce che l’oggetto sia stato indossato come amuleto per lungo tempo, forse da un commerciante di Ostia. La piccola erma di Priapo è invece di esecuzione raffinata e ritrae il dio con una pelle di cerbiatto (nebris) sul braccio sinistro, colma di pomi e d’uva. Ugualmente degna di nota per l’elegante fattura è la statuetta di Lare, divinità protettrice della casa rivestita da una tunica a maniche corte. Nella mano destra doveva trovarsi un piatto per libagioni (patera), e nella sinistra una cornucopia; la piccola base quadrata è splendidamente decorata con foglie di alloro in argento. Infine la statuetta di Ercole raffigurato come fanciullo testimonia l’attaccamento degli ostiensi per tale divinità e l’assimilazione avvenuta nel II-III secolo con altri culti orientali, nonché la prestigiosa derivazione dal modello dell’Ercole Capitolino.

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